Nella settimana del 19-25 aprile si è tenuta la cosiddetta Fashion Revolution Week, organizzata dall’omonima organizzazione no profit Fashion Revolution, in cui produttori, rivenditori e consumatori fanno fronte comune nel settore della moda per porre l’attenzione sulle tematiche considerate “più calde” in modo da rendere tale industria non solo più sostenibile ma anche più etica.

È stata scelta questa settimana perché coincide con l’anniversario della tragedia del Rana Plaza in Bangladesh, in cui il 24 aprile 2013 morirono oltre mille persone, tutti lavoratori impiegati nella produzione dei capi di diversi brand occidentali di abbigliamento, a causa della mancanza di norme sulla sicurezza. Per tale ragione considerato come il peggior disastro industriale nel settore dell’abbigliamento.

Questo movimento è nato con l’obiettivo di porre fine allo sfruttamento dei lavoratori, spesso celato dietro una facciata di bellezza dei capi e delle sfilate con cui questi vengono presentati al pubblico. La missione è infatti quella di rendere l’industria della moda più etica facendo conoscere al consumatore chi produce i capi e come questi vengono prodotti lungo la filiera, in modo tale da renderlo consapevole del reale valore di ciò che decide di acquistare. “Who made my clothes” è infatti lo slogan che accompagna la Fashion Revolution con cui si chiede alle persone di interrogarsi su dove provengono i vestiti che comprano e le condizioni in cui questi sono stati realizzati, prediligendo nella scelta capi che rispettano l’ambiente e i diritti umani delle persone che lavorano in quest’industria.

Per saperne di più sul tema della filiera produttiva della moda e del significato delle etichette “Made in …” il documentario The True Cost del regista britannico Andrew Morgan mostra cosa si nasconde dietro i prezzi “stracciati” del mondo della fast fashion.

 

Inoltre, sempre in questa settimana, il 22 aprile è anche la Giornata mondiale della Terra, la più grande manifestazione ambientale del pianeta per celebrare la Terra e per promuovere la protezione dell’ambiente. Questa data è stata fissata nel 1970 su ispirazione del libro Silent Spring pubblicato da Rachel Carson negli anni ’60, manifesto del movimento ambientalista, e a seguito del disastro petrolifero a Santa Barbara nei mari della California nel 1969.

In tale giornata l’attenzione si concentra sui processi naturali, le tecnologie green e le modalità innovative per ripristinare gli ecosistemi terrestri ed acquatici in tutto il mondo, danneggiati dai processi produttivi delle diverse industrie. Si tratta di una giornata in cui prevale l’approccio proattivo, e non solo reattivo, rispetto ai cambiamenti climatici, in modo tale da prevenire futuri peggioramenti. In questo si impegna anche l’industria della moda essendo una di quelle che consuma più risorse e che produce gran parte delle emissioni di CO2. Diverse sono infatti le iniziative messe in campo dalle imprese del settore per delineare le aree di intervento e quelle in cui si possono concentrare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi climatici, in linea con gli SDGs delle Nazioni Unite.

Fonti:

Inferrera, Angela. "Fashion revolution week: cos'è?"

 "Who Made My Clothes Archives” Fashion Revolution.

Morgan, Andrew. “The True Cost”